LA PRODUZIONE DEL VINO

appunti del Prof. Roberto Zironi, Università degli Studi di Udine (Italia) in onda nel programma "Vita nei campi" trasmesso dall'emittente RAI FVG

LA PRODUZIONE DEL VINO:
COSA SI INTENDE CON IL TERMINE VINO


Nel 1492 con la scoperta dell’America ha convenzionalmente termine il Medioevo ed inizia la Storia moderna. Anche per la produzione del vino inizia alla fine del ‘400 un Rinascimento che lo porterà nel corso dei secoli successivi, in dipendenza dei progressi tecnico scientifici e dell’ampliarsi dei mercati, a diventare la bevanda che oggi noi tutti conosciamo.
Possiamo quindi iniziare un percorso che ci porterà a comprendere quali fattori tecnico produttivi sono coinvolti nella produzione del vino.
Secondo la risoluzione 18/73 dell’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (O.I.V.): “Il vino è esclusivamente la bevanda risultante dalla fermentazione alcolica totale o parziale dell’uva fresca, pigiata o meno, o del mosto d'uva. Il suo titolo alcolometrico effettivo non può essere inferiore a 8,5% vol. Tuttavia, considerando le condizioni del clima, del terroir o del vitigno, di fattori qualitativi speciali o tradizioni particolari di alcuni vigneti, il titolo alcolometrico minimo totale può essere ridotto a 7% vol. secondo la normativa specifica della regione interessata.”
L’O.I.V. è un organismo intergovernativo di tipo scientifico e tecnico, di competenza riconosciuta nell’ambito della vigna, del vino, delle bevande a base di vino, delle uve da tavola, delle uve passa e degli altri prodotti della vigna. In esso sono rappresentati tutti i paesi del mondo che hanno interessi produttivi nell’ambito della vigna e del vino ed ha come compito quello di fornire ai diversi paesi membri delle risoluzioni tecnico scientifiche utili alla stesura delle specifiche legislazioni.
Nei paesi di cultura anglosassone sino a pochi decenni fa con il termine Wine si identificava genericamente un fermentato di frutta pertanto esistevano molti Fruit Wine identificati dalla specie botanica di appartenenza del frutto (Apple wine, Pear wine, Grape wine). Oggi, grazie all’enorme diffusione della popolarità del fermentato d’uva anche in questi paesi con il termine Wine senza nessuna specificazione aggiuntiva si identifica comunemente la bevanda ottenuta dalla fermentazione dell’uva.
In tutta l'Unione europea, per proteggere un prodotto di maggiore qualità, prezzo e valore, non si può commercialmente chiamare "vino" il prodotto di fermentazione di uve che non provengano dalla specie Vitis vinifera (Figura 1). Quindi il termine, in caso di commercializzazione di fermentati diversi, deve essere omesso.
Questa norma ha inteso tutelare la qualità e la tipicità delle produzioni enologiche tradizionali del vecchio continente anche perché i fermentati di uve di specie diverse o di ibridi presentato un tipico carattere organolettico chiamato “Foxy” che è facilmente identificabile in fermentati tradizionali della regione quale il “Fragolino” od il “Noah”.
Recentemente sono stati proposti dalla ricerca, anche dell’Università di Udine, degli incroci tra Vitis vinifera ed altre Vitis le cui uve non presentano queste caratteristiche organolettiche, ma presentano caratteri molto interessanti di resistenza alle più comuni patologie della Vite. Per queste caratteristiche, che permettono delle produzioni più sostenibili, l’Unione europea ha permesso la coltivazione e la vinificazione delle uve di queste nuove varietà di viti definite resistenti. Sono già disponibili sul mercato vini ottenuti da queste nuove varietà.
Al di fuori dell’Unione europea è invece ammessa la vinificazione di uve appartenenti ad altre specie del genere Vitis o ad incroci della Vitis vinifera con altre specie del genere Vitis (ad esempio la Vitis labrusca o la Vitis rupestris) proprie del continente nord-Americano.


QUALI UVE PER PRODURRE IL VINO


Nel precedente appuntamento abbiamo visto come l’Unione europea abbia fortemente vincolato la produzione del vino alla vinificazione salvo rare eccezione delle uve della specie Vitis vinifera.

Nell’ambito della specie Vitis vinifera esistono delle uve che per particolarità compositive ed organolettiche vengono definite uve da tavola. Negli ultimi decenni la ricerca ha proposto sempre nuove varietà con queste caratteristiche che si contraddistinguono per la loro croccantezza alla masticazione, aromaticità e serbevolezza in senso lato. Negli ultimi anni vengono proposte anche senza semi (apirene) per migliorarne la gradevolezza alla masticazione.

Secondo la normativa comunitaria le uve da tavola non possono essere utilizzate per la produzione del vino. Da queste uve si possono produrre eventualmente dei succhi di frutta o se fermentate possono essere utilizzate per la produzione di “distillati di frutta”. Questa stessa normativa si applica qualora si vogliano trasformare delle uve provenienti da specie diverse dalla vinifera o dagli ibridi tra queste specie e la vinifera. Quindi, come per le uve da tavola, non ne è proibita la coltivazione, ma è proibito il commercio del fermentato (vino) corrispondente. Qualsiasi altro uso e commercio è lecito.

Fanno eccezione a questa normativa generali alcune varietà di uve definite a duplice attitudine nel cui elenco compaiono generalmente varietà di uve una volta utilizzate anche per il consumo quotidiano quali i Moscati, le Malvasie aromatiche, ecc. Quindi alcuni vini di consumo corrente, basti pensare all’Asti spumante (Figura 1), possono essere prodotti a partire da queste uve.

Nella Unione europea, quando il viticoltore è intenzionato ad impiantare una nuova vigna, deve inoltre sottostare ad alcuni altri obblighi di carattere amministrativo. In prima istanza deve sapere che l’impianto del vigneto di uva da vino non è libero, ma deve sottostare ad una programmazione comunitaria finalizzata a non incrementare le eccedenze produttive di vino. Pertanto si autorizza l’impianto di un vigneto soltanto se è finalizzato alla sostituzione di un vecchio vigneto economicamente non più produttivo o di una varietà obsoleta. Ulteriori superfici possono essere impiantate annualmente a vigneto soltanto per una percentuale pari a 1 centesimo della superficie viticola regionale. La regione ha poi la facoltà di rimettere a disposizione dei viticoltori ulteriori superfici che corrispondono ad espianti od abbandoni di vigneti da parte di soggetti agricoli che intendono abbandonare la produzione di uva da vino.

Un ulteriore vincolo comunitario prevede che una volta ottenuta l’autorizzazione all’impianto, il viticoltore debba scegliere la varietà da impiantare, in un elenco di varietà raccomandate od autorizzate diverso per ogni regione. L’elenco è il frutto di sperimentazioni che hanno stabilito quali varietà siano le più idonee a garantire le migliori performance qualitative del territorio.

L’ultimo vincolo comunitario si applica al momento della raccolta dell’uva. L’unione europea procedendo da nord a sud è frazionata in diverse zone climatiche idonee alla produzione del vino (Figura 2), ma le uve coltivate in queste diverse zone devono garantire, una volta vendemmiate, una gradazione alcolica minima naturale ai vini prodotti. L’Italia è in massima parte compresa nelle zone climatiche C2 e C3B e le uve di queste zone devono garantire ai vini rispettivamente, una gradazione alcolica minima naturale di 8,5 e 9,0 gradi.

In definitiva come vedremo anche nei prossimi appuntamenti nell’Unione europea la produzione del vino è rigidamente regolamentata con una legislazione definita positiva cioè si può fare soltanto quanto è elencato nei Regolamenti. Qualsiasi altra operazione è implicitamente proibita. Questo stà comportando un notevole svantaggio competitivo nei confronti dei paesi produttori extracomunitari che, agevolati da una normativa più snella, possono utilizzare tutti i nuovi mezzi tecnici proposti dalla ricerca per migliorare le caratteristiche produttive e qualitative del vino. Quindi proporre rapidamente i vini richiesti dal mercato a minori costi.


L'IMPORTANZA DELLA VITICOLTURA NEL MONDO E
QUALI SONO I VITIGNI COLTIVATI


La più recente statistica dell’O.I.V. riporta che nel 2018 la viticoltura era diffusa in tutti i 5 continenti per una superficie complessiva di 7,4 milioni di ettari. Da questa ampia superficie si sono prodotti nello stesso anno 77,8 milioni di tonnellate di uva suddivisi per il 57% in uva da vino, per il 36% in uva da tavola e per il restante 7% in uva da essiccare.

Pur essendo diffusa in tutti i continenti esiste una forte concentrazione della viticoltura nel continente europeo, seguito dal continente asiatico. I primi 5 paesi per superficie viticola sono la Spagna (13%), la Cina (12%), la Francia (11%) l’Italia (9%), e la Turchia (6%). Tutti gli altri paesi del mondo si suddividono il restante 49% (Figura 1).

Tra questi 5 paesi esistono poi delle differenze sostanziali: mentre Spagna, Francia e Italia mostrano una prevalenza di coltivazione di uve da vino e, specialmente per Spagna e Francia, solo marginalmente di uve per altre destinazioni, la Cina e la Turchia sono specializzate nella coltivazione di uva da tavola e da essiccare, con una produzione globale di queste tipologie di uva per circa il 90 % e dell’96% della rispettiva superficie. E’ pur vero però che in virtù della loro differente legislazione, rispetto a quella comunitaria, in annate in cui il mercato dell’uva da tavola non è interessante, parte di queste sono fermentate per produrre vino.

Quando di parla di produzione globale il pensiero non può non andare alla Cina. E’ interessante notare come la programmazione produttiva cinese ha privilegiato sin ora la coltivazione dell’uva da consumo diretto e da questo punto di vista la Cina, a tra il 2000 ed il 2018, ha moltiplicato per un fattore 7 la produzione di uva da tavola producendone ora il 35 % del totale mondiale. Nello stesso periodo ha raddoppiato la produzione di uva da essiccare raggiungendo nel 2018 il 14% della produzione mondiale. Per l’uva da vino ha invece mantenuto nello stesso periodo una sostanziale costanza delle superfici con una produzione di vino che è pari al 3% del totale mondiale. E’ evidente che a fronte di un sostanziale incremento del consumo interno di vino, il governo cinese potrà incentivare anche la produzione di questo tipo di viticoltura, oltre alla trasformazione delle uve da tavola in vino.

Se consideriamo quali varietà sono coltivate nel mondo, possiamo notare come delle oltre 10.000 varietà di V.viniferapresenti al mondo, le prime 13 coprono 1/3 della superficie globale e le prime 33 il 50% (Figura 2).

Anche da questo punto di vista il mercato è globale ed esistono dei must tra i vitigni coltivati e che si riferiscono ad uve e vini i cui nomi sono di uso corrente. Dalle statistiche dell’O.I.V. più recenti, che si riferiscono al 2015 tra i vitigni presenti a livello mondiale con una superficie superiore ai 100.000 ettari quello più coltivato risulta essere l’uva da tavola cinese KYOHO seguita dall’uva da vino CABERNET SAUVIGNON e dall’uva utilizzata per l’essicazione e per la tavola SULTANINA. Seguono con superfici minori altri 10 vitigni prevalentemente da vino, di origine sia francese che spagnola, soltanto al tredicesimo posto troviamo il primo vitigno di origine italiana, esattamente il Trebbiano toscano. Questo evidenzia che a livello globale sono molto più conosciuti i vitigni da vino di origine francese e spagnola piuttosto che quelli di origine italiana.

Infine è interessante notare la penetrazione dei diversi vitigni nei vigneti del mondo. L’O.I.V. ci documenta che nel 2015, per coltivazione in uno Stato e per superfici superiori ai 200 ettari, il best sellers è sicuramente lo CHARDONNAY, coltivato in 41 differenti paesi, il MERLOT presente in 37 paesi, lo SYRAH in 31 paesi ed il CABERNET SAUVIGNON in 29. Da notare che tutti questi 4 vitigni sono di origine francese. Per ribadire quando detto precedentemente l’italiano TREBBIANO TOSCANO è considerato interessante per la coltivazione soltanto i 4 paesi al mondo (Figura 3).


IL VIGNETO ITALIA CON UNA PARTICOLARE
ATTENZIONE AL FRIULI VENEZIA GIULIA


Il vigneto Italia, secondo le più recenti stime dell’O.I.V. (anno 2018), presenta una superficie complessiva di 705.000 Ha dei quali 658.00 di uva da vino. I principali vitigni coltivati sono gli autoctoni Sangiovese, Montepulciano e Glera, seguiti dagli internazionali di origine francese Pinot gris e Merlot (Fig. 1). Se si considerano tutti i vitigni coltivati nel vigneto Italia possiamo notare una netta prevalenza di quelli autoctoni che rappresentano più dell’85% dell’intera superficie coltivata.

Nel periodo 2010 – 2015, molte varietà hanno mostrato una sensibile riduzione della superficie coltivata in linea con la generale riduzione del vigneto Italia che in questo lasso di tempo ha ridotto la sua superficie del 7,7 %; in particolare il Sangiovese (-27%), il Merlot (-16%) ed il Montepulciano (-12%). Per contro varietà come la Glera hanno manifestato un significativo incremento di superficie (+25% nel quinquennio considerato e triplicata rispetto al 2000). Questo incremento è chiaramente correlato all’inarrestabile successo commerciale del vino Prosecco sui mercati nazionali ed internazionali. Allo stesso modo il successo commerciale del brand italiano Pinot grigio giustifica l’incremento, nel quinquennio 2010-2015, del 34% della superficie coltivata con questo vitigno.

Dalle statistiche del 2018 le regioni italiane con la maggiore superficie vitata sono nell’ordine Sicilia (97.000 Ha), il Veneto (94.000 Ha) e la Puglia (88.000 Ha) seguite a distanza da Toscana (61.000 Ha), Emilia R. (51.000 Ha) e Piemonte (46.000 Ha). Se però si analizzano i trend a partire dal 2000 si nota come tra queste regioni soltanto il Veneto e la Toscana abbiano incrementato la superficie vitata mentre le altre regioni hanno subito un decremento anche significativo.

Il Friuli Venezia Giulia secondo i dati più recenti (2019) conta 25.000 Ha con un incremento del 39% della superficie vitata nell’ultimo decennio. La piattaforma ampelografica regionale vede al primo posto per coltivazione il Pinot Gris (7.250 Ha) e la Glera (6.350 Ha) seguiti a forte distanza da Merlot, Friulano, Chardonnay, Ribolla Gialla e Sauvignon blanc con superfici comprese in un intervallo da 1810 e 1250 Ha. Il Pinot gris (+47%) e la Glera (+415%) hanno subito nell’ultimo decennio, per i motivi già ricordati, un incremento esplosivo delle superfici, ma anche la Ribolla gialla ha mostrato nell’ultimo quinquennio un incremento del 340% della superficie coltivata. Tra i restanti si è avuto un forte decremento decennale della superficie a Merlot (-27%) mentre i 3 restanti hanno mantenuto la superficie del 2010 (Fig. 2).

Negli ultimi 10 anni la Regione ha radicalmente modificato il significato territoriale dei 46 diversi vitigni che oggi vi sono coltivati. I 7 vitigni già ricordati coprono l’83% della superficie viticola regionale e dei 39 restanti soltanto 13 vantano una superficie coltivata superiore ai 50 ettari (Fig. 3). La ripartizione attuale delle superfici coltivate mostra una prevalenza dei vitigni a bacca bianca che coprono l’83% della superficie. Soltanto nel 2010 in Regione si osservava una ripartizione che vedeva 1/3 del territorio coltivato a vitigni rossi e 2/3 dello stesso con vitigni bianchi.


QUANTO VINO SI PRODUCE E IN CHE PAESI SI CONSUMA


Secondo le statistiche O.I.V. (Figura 1) nel quinquennio 2014-2018 la classifica della produzione media di vino dei principali paesi vede prevalere l’Italia con 48 milioni di ettolitri seguita da Francia con 45 e Spagna con 39. Se consideriamo che nello stesso periodo la produzione media mondiale è stata pari a 271 milioni di ettolitri risulta che questi 3 paesi fanno da soli quasi il 50% della produzione complessiva.

Sempre secondo dell’O.I.V. i paesi maggiori consumatori nel 2018 (Figura 2) sono gli USA con 33 milioni di ettolitri, seguiti da Francia, Italia e Germania. Si può notare che tra i principali paesi consumatori abbiamo paesi produttori, ma che con la propria produzione non soddisfano completamente le richieste del proprio mercato; ad esempio la Germania produce soltanto il 45% del fabbisogno interno o gli USA i 2/3. Altri paesi come il Regno Unito o il Canada sono forti consumatori, ma di fatto per motivi climatici sono produttori di modeste quantità di vino. Infine paesi come la Francia e l’Italia che consumano il 60% ed il 50% del proprio prodotto o la Spagna che ne consuma soltanto il 25% sono costretti a collocare il vino in tutti i paesi consumatori del mondo.

Ne consegue che i paesi maggiori esportatori in volume sono nell’ordine Spagna, Italia e Francia che insieme rappresentano il 50% del mercato globale. Se consideriamo le esportazioni in valore la classifica mostra la presenza sempre di questi tre paesi, ma in ordine invertito: la Francia vale il 30% del mercato, l’Italia il 20% e la Spagna il 10%. L’Italia anche sulla spinta di alcuni suoi brand quali il Prosecco o il Pinot grigio, ha incrementato negli ultimi anni la sua percentuale delle vendite sia in volume, ma specialmente in valore. Si vende sempre di più nei mercati esteri e ad un prezzo sempre maggiore. Nel 2019 il valore complessivo delle esportazioni enologiche italiane ha superato i 6 miliardi di euro.

Uno sguardo al passato. All’unificazione d’Italia, il vino è razione giornaliera per quasi tutta la popolazione, sia in casa, che nei pasti consumati sul posto di lavoro ed è il vino a dare il maggiore apporto calorico della dieta. Le zone con la maggiore produzione vinicola, non sempre qualitativamente valida, offrono vino in abbondanza ad esempio circa sei litri la settimana per gli operai del Sud. Questa situazione permane in Italia, con poche modifiche, sino alla seconda guerra mondiale. A partire dal dopoguerra si è assistito progressivamente ad una riduzione del consumo di vino, ma se ancora nel 1975 il consumo pro capite era pari a 100 litri, nel 2013 era sceso a 39 litri. Oggi la situazione è in lento miglioramento e secondo le rilevazioni del 2018 è pari a 44 litri. A livello mondiale (Figura 2) soltanto il Portogallo e la Francia presentano consumi maggiori mentre ci seguono sia paesi produttori che paesi solo consumatori. Questi ultimi sono i nostri potenziali nuovi clienti, ma per incrementare le nostre esportazioni l’unica leva per vincere la competizione con gli altri paesi produttori è quella di incrementare la qualità percepita dei nostri vini. Diventa quindi indispensabile applicare alla produzione dei vini, una enologia di qualità, che sarà l’argomento dei prossimi incontri.


ANATOMIA DEL GRAPPOLO D'UVA E DELL'ACINO


Quello che noi conosciamo come il frutto dell’uva, il grappolo, è più propriamente un'infruttescenza cioè un raggruppamento di frutti. Il grappolo è composto da un graspo (o raspo) e da numerosi acini (detti anche chicchi, o più propriamente bacche), di piccola taglia e di colore chiaro (verde-giallastro, giallo, giallo dorato) nel caso dell'uva bianca, o di colore scuro (rosa, viola o violetto bluastro) nel caso dell'uva nera.

Il raspo, o rachide, è l'asse centrale del grappolo (Figura 1), ramificato in racimoli e quindi in pedicelli, che portano i fiori ed in seguito i frutti, gli acini. Il graspo, inoltre, ha anche una funzione davvero molto importante: svolge infatti il compito di trascinare i nutrienti all'interno dell'acino mediante la rete linfatica della pianta.

La conformazione legnosa è la principale caratteristica del raspo e va ad incidere anche sulla forma che assumeranno successivamente i grappoli, che potranno svilupparsi in modo piramidale, conico o cilindrico. Tra le varie forme che può assumere il grappolo (Figura 2) c'è anche quella alata, che si ha nel momento in cui la parte superiore risulta piuttosto pronunciata e biforcata in secondo grappolino. Non dobbiamo dimenticare come tale conformazione legnosa va ad incidere notevolmente anche sulla densità del medesimo grappolo e va a costituire fino al 5%, il peso del grappolo complessivo.

Il raspo, essendo un elemento legnoso, non è commestibile e nel corso della vinificazione viene normalmente eliminato perchè può contenere elementi compositivi non gradevoli che darebbero un gusto non piacevole al vino.

Gli acini si compongono della buccia, scientificamente detta cuticola, della polpa e dei semi (Figura 3).

La funzione della buccia è quella di proteggere la polpa e i semi interni e costituisce circa il 10% della bacca. Ha una funzione molto importante nella vinificazione in quanto contiene i pigmenti coloranti che sono i responsabili della colorazione del vino. Inoltre nella buccia, oltre all'acqua, sono contenute molte sostanze aromatiche, che influiranno poi sulle caratteristiche organolettiche del vino.

La buccia è protetta dalla pruina, una sostanza cerosa biancastra, che si dimostra piuttosto utile nel momento in cui è necessario garantire un'adeguata protezione al chicco nei confronti dei raggi ultravioletti che provengono dall'esterno, così come dagli sbalzi idrici, che possono portare spesso al complicato problema della disidratazione idrica del frutto. Svolge inoltre la funzione di limitare l’azione dei parassiti vegetali ed animali pur mantenendo sulla sua superficie i lieviti, cioè i responsabili della fermentazione alcolica del succo d’uva.

La polpa è formata per una percentuale superiore al 75 % da acqua, per un 20 % da zuccheri e per la restante parte da acidi, composti azotati, sali minerali, vitamine e tanti altri componenti importanti per definire le caratteristiche nutrizionali ed enologiche del frutto. La polpa presenta al suo interno una distinzione tra due parti più importanti: la prima è quella esterna, in cui si può trovare la più elevata quantità di zuccheri naturali, mentre la seconda parte interna meno zuccherina e di dimensioni inferiori avvolge i semi.

Il seme dell’uva si chiama vinacciolo: è caratterizzato da un alto contenuto di molecole antiossidanti e olii. Nella vinificazione, i vinaccioli svolgono una funzione importante perché contribuiscono, insieme alle bucce, al rilascio di sostanze che conferiscono al vino molte delle sue qualità organolettiche (Figura 4).


IL CICLO PRODUTTIVO DELLA VITE:
FORMAZIONE DEL GRAPPOLO


Il ciclo di fruttificazione della vite è biennale. Durante il primo anno di questo ciclo, in autunno-inverno, la pianta prepara la messa a frutto, formando le gemme ibernanti. Queste gemme, iniziano la fase di sviluppo primordiale del grappolo e successivamente arrestano il loro sviluppo, per ripartire all'inizio della primavera dell'anno seguente. Questo fenomeno, che viene comunemente chiamato differenziazione delle gemme, è molto importante per lo studio dell'andamento produttivo dell'annata successiva. La differenziazione ha inizio con la formazione delle gemme e successivamente con la formazione di grappolini primordiali. All'interno la gemma, se osservata al microscopio, presenta due appendici opposte ai lati dell'apice vegetativo che daranno rispettivamente origine ad una foglia e ad un grappolo. Il grappolo primordiale successivamente si ramifica dando origine ad un secondo grappolo.

Nel corso dell’inverno, quando la vite si presenta in riposo vegetativo, il viticoltore compie l’operazione di potatura che consiste nel tagliare i rami che hanno fruttificato. Contemporaneamente vengono organizzati, sull’impalcatura di sostegno della pianta, i rami che contengono le gemme ibernanti che dovranno fruttificare. In primavera dalle ferite dovute alla potatura, la vite emette un liquido, il pianto (Figura 1). L’emissione di questo liquido inizia circa un mese prima del germogliamento, per terminare all’apertura delle gemme.

Il germogliamento è il momento fondamentale in cui si aprono le gemme. L’apertura avviene indicativamente quando la temperatura si mantiene stabilmente sopra i 12°C. Dalla prima apertura, nel giro di 10 giorni tutte le gemme del tralcio germogliano. Considerando la lunghezza della penisola italiana possiamo stimare che questa fase si attivi tra il 20 di marzo per l’Italia meridionale ed il 20 di aprile per quella settentrionale. Contemporaneamente all’accrescimento del germoglio si ha lo sviluppo dell’infiorescenza a grappolo (Figura 2).

La fioritura della vite (Figura 3) si ha di norma tra fine aprile e maggio nelle regioni meridionali ed a giugno in quelle centro-settentrionali. Sulla pianta la fioritura si completa in 2-3 settimane mentre i fiori di ogni singolo grappolo si aprono in una settimana. La vite ha impollinazione prevalentemente incrociata, cioè il polline di una pianta feconda i fiori delle altre piante. La fecondazione è favorita in primis dal vento ed in subordine dagli insetti pronubi. Il buon esito della fecondazione, l’allegagione, è favorita da condizioni climatiche miti, una buona luminosità e presenza di un leggero vento nei giorni di fioritura. Le perturbazioni, con pioggia battente e temperature fredde sono invece condizioni sfavorevoli. Il clima del periodo di fioritura condiziona pertanto l’intensità della fecondazione, sia come numero di frutti per grappolo, che come numero di grappoli per pianta. In questa fase si definisce pertanto la resa quali-quantitativa del vigneto.

Dopo la fecondazione, le bacche cominciano il loro accrescimento. Possiamo distinguere 4 periodi di sviluppo delle bacche: periodo erbaceo, invaiatura, maturazione e sovramaturazione.

Il periodo erbaceo inizia dopo l’allegagione e dura dalle cinque alle sei settimane. Nei fiori fecondati l'ovario si allunga e comincia a crescere diventando più o meno sferico. Inizialmente l'acino è diviso in due parti di egual misura che successivamente si differenziano, perché quella più esterna rimane inalterata e quella più interna si sviluppa aumentando di volume. L'aumento di volume dell'acino è dovuto principalmente ad una distensione delle cellule. Le bacche sono verdi e si comportano in maniera simile ad un organo erbaceo in crescita, sono dotate di stomi ed hanno una limitata capacità fotosintetica.

Dopo questo primo periodo la bacca smette di accrescersi, annulla la sua attività fotosintetica e comincia ad accumulare pigmenti tipici del vitigno, la crescita cellulare rallenta ed i tegumenti dei vinaccioli induriscono. Questa fase che dura dalle due alle quattro settimane si manifesta visivamente con la modificazione cromatica del colore delle bacche che nelle uve a bacca rossa si manifesta in maniera evidente per la comparsa di frutti variamente colorati. Nelle uve a bacca bianca il colore del frutto vira invece in maniera meno appariscente dal verde al giallo. Questa fase fenologica prende il nome di invaiatura (Figura 4).


IL CICLO PRODUTTIVO DELLA VITE: 
MATURAZIONE DEL GRAPPOLO

 

Abbiamo già ricordato che dopo un primo periodo di accrescimento (Figura 1), le cellule del frutto interrompono la loro moltiplicazione e distensione, e la bacca comincia a virare di colore. Con l’invaiatura, che è un processo attivato da particolari ormoni della pianta, si ha un cambio di metabolismo dell’acino che ha come primo effetto, la sintesi dei pigmenti coloranti la bacca. Questo cambio di metabolismo si evidenzia anche dalla variazione compositiva della soluzione circolante tra pianta e frutto.

Per tutta la fase verde, quindi fino all’invaiatura, l’acqua ed i soluti vengono trasportati all’interno dell’acino fondamentalmente dallo xilema che è un tessuto conduttore adibito al trasporto della linfa grezza, quindi di acqua, sali inorganici e qualche metabolita organico derivato dalle radici. Nella fase di post-invaiatura è il floema ad alimentare le bacche, trasportando un succo più elaborato, ricco di saccarosio, amminoacidi, potassio ed altri ioni minerali. Questo trasporto continua sino al raggiungimento del massimo peso della bacca, per poi rallentare bruscamente, per fermarsi definitivamente, 2-3 settimane più tardi.

Quindi riassumendo, raggiunta l’invaiatura, dopo circa otto settimane dalla fioritura, inizia un terzo ed ultimo stadio di sviluppo, la maturazione. Questo si protrae fino alla raccolta ed è caratterizzato da un forte accrescimento delle bacche, favorito dagli apporti dei ricchi succhi floematici, che può arrivare al doppio del volume iniziale. L’accrescimento avviene per la distensione cellulare delle cellule che si sono formate nella prima fase di accrescimento.

In questa fase di forte accrescimento delle bacche, è fondamentale per la pianta una disponibilità idrica sufficiente a garantire sia la disponibilità per il trasporto floematico che a compensare la forte evapotraspirazione della pianta legata al coincidente periodo estivo. Se questa disponibilità idrica, che nelle migliori condizioni ambientale è naturale, non è sufficiente, il viticoltore dovrà intervenire con tecniche di irrigazione di soccorso.

Un altro intervento tecnico opportuno in questa fase è il completamento del diradamento dell’uva cioè l’eliminazione di alcuni grappoli che non saranno utilizzati per la vinificazione (Figura 2). Il diradamento serve a selezionare i grappoli, per garantire l’uniforme completamento della loro maturazione ed il raggiungimento degli obiettivi qualitativi ricercati.

Una prima concreta selezione si può essere già realizzata dopo l’allegagione, nel caso che si siano sviluppati una grande quantità di grappoli. Operando in questo modo, alla conclusione del periodo erbaceo, il numero dei grappoli sarà omogeneo, e l’evoluzione successiva potrà avvenire con maggiore uniformità. All’invaiatura si opera il vero diradamento, ma che non deve interessare più del 25% dell’uva rimasta, e può consistere, in alternativa al distacco di parte dei grappoli, nell’eliminazione della parte terminale del grappolo per migliorarne la maturazione (Figura 3).

Durante la maturazione dell’uva (Figura 4), oltre all’aumento del peso della bacca, assistiamo ad un accumulo progressivo nella polpa e nella buccia di una quantità notevole di composti traslocati dal flusso floematico dalla pianta al frutto. Le cellule del frutto, inoltre, sotto la spinta di specifiche attività enzimatiche sintetizzano una serie di composti che caratterizzeranno la composizione delle bacche a maturazione.

Anche i semi dell’uva cominciano a maturare, da un punto di vista fisiologico, a partire dall’invaiatura ma il fenomeno, pur procedendo su binari paralleli con le altre parti della bacca, si realizza in tempi non coincidenti. Pertanto la maturazione della polpa, della buccia e dei vinaccioli saranno sfasate. Questa differenza si evidenzia e si accentua, soprattutto nelle varietà non adatte ad un certo ambiente.

Quando viene raggiunta la massima dimensione della bacca, il flusso floematico comincia a ridursi, per poi cessare, al raggiungimento della maturità del seme. In questa fase il frutto non è più alimentato dalla linfa elaborata dalla pianta e si comincia a formarsi un cuscinetto di abscissione che favorisce il distacco della bacca.

Se l’uva non viene vendemmiata, comincia a perdere turgore per evaporazione dell’acqua, concentrando i suoi componenti; inizia una fase definita di surmaturazione (Figura 5).


LA STRUTTURA DEL FRUTTO MATURO


I grappoli dell’uva matura possono essere più o meno voluminosi, serrati o spargoli, alati o semialati, ma sono sempre formati da acini (Figura 1).

Il grappolo a maturazione può avere un peso molto variabili in dipendenza delle caratteristiche genetiche della cultivar e dell’ambiente di maturazione, variabilità che può fluttuare da qualche decina a qualche centinaia di grammi. Gli acini sono inseriti su un piccolo ramo chiamato raspo o rachide che rappresenta il 3-5 % del peso del grappolo. Il raspo è ricco in lignina e cellulosa e contiene oltre ad acqua ed altre sostanze minori delle molecole particolari chiamate tannini. Queste molecole, che incontreremo in altre parti del frutto, nel raspo hanno una struttura poco polimerizzata che determina nel vino, se vengono estratte nel corso della vinificazione, delle caratteristiche sensoriali di forte astringenza. Per questo motivo il raspo viene normalmente eliminato nella fase preliminare della vinificazione. Se l’uva è raccolta a macchina è lo stesso meccanismo d’azione della macchina vendemmiatrice che prevede il distacco degli acini lasciando il raspo attaccato alla pianta. Se l’uva è raccolta a mano è l’azione della prima macchina operatrice della cantina, la diraspatrice, che distacca gli acini dal raspo eliminandolo dal ciclo produttivo.

L’acino può avere forma a cono, ovale, elissoidale, sferica ed avere differenti profumi e sapori ed è costituito da buccia, polpa e vinaccioli (Figura 2).

I vinaccioli, piccoli semi che rappresentano circa il 5% del peso del frutto sono costituiti di un guscio molto resistente, che racchiude la mandorla ricca di sostanze amidacee e lipidiche. Hanno una forma piriforme e si trovano in numero variabile da 1 a 4 immersi nella polpa dell’acino. Il vinacciolo completa la crescita prima dell’inizio della maturazione della bacca. Nel corso della maturazione subisce però ulteriori modificazioni definite impropriamente di maturazione. In particolare modo si assiste al viraggio del colore da giallastro a brunastro. Contemporaneamente i tegumenti divengono più rugosi e duri. Queste modificazioni, sono anche correlati a modificazioni del grado di polimerizzazione e di ossidazione dei tannini presenti nel tegumento del seme, che nel complesso divengono progressivamente meno estraibili e meno astringenti.

La buccia rappresenta dal 10 al 15% del peso, ma la sua composizione da un contributo alla qualità del vino è importante quanto quello della polpa. La sua composizione evidenzia sia molecole caratteristiche della composizione della polpa che sostanze caratteristiche come i precursori aromatiche e le sostanze polifenoliche sia tanniche che coloranti. La buccia risulta pertanto indispensabile per dare un contributo fondamentale alle caratteristiche sensoriali visive, olfattive e gustative del vino.

La polpa molle o carnosa, succosa o croccante è ricca di acqua, di zuccheri, di acidi organici e di sostanze azotate. Dalla composizione della polpa dipende la concentrazione alcolica del futuro vino dato che gli zuccheri, per effetto della fermentazione alcolica, saranno trasformati in alcol etilico. Gli acidi organici contribuiscono invece alle caratteristiche gustative del vino ed alla sua serbevolezza.

Quando il flusso floematico inizia a rallentare, nelle cultivar da vino inizia il rammollimento dell’acino che è correlato con una intensa attività di degradazione delle pectine che sono i collanti delle cellule, che le tengono unite le une alle altre. Le cellule della polpa cominciano a manifestare fenomeni di coalescenza, si distaccano dalle cellule della buccia e non aderiscono più ai vinaccioli. Sono tutti segnali che l’enologo è in grado di cogliere e che dicono che il frutto è pronto per essere raccolto (Figura 3). 


LA COMPOSIZIONE DEL FRUTTO:
GLI ZUCCHERI


Nella buccia dell’acino d’uva si distingue un’epidermide costituita da uno strato di cellule piatte, fortemente saldate tra loro, con pareti ispessite ed esternamente ricoperta da cuticola e da cere. Sotto l’epidermide abbiamo una zona costituita da 11-12 strati di cellule con parete inspessita e fortemente saldate tra loro. La polpa è invece costituita da 25-30 strati di cellule a parete sottile e di dimensioni notevolmente maggiori rispetto a quelle della buccia.

Attraverso il peduncolo penetrano nella bacca i fasci conduttori della linfa che si suddividono all’interno della bacca alimentando sia le cellule della polpa e della buccia che i semi. La linfa presenta una composizione molto complessa e variabile nel corso della maturazione, ma i componenti principali che ritroveremo quindi anche maggiormente rappresentati nella composizione della bacca sono gli zuccheri.

Gli zuccheri, detti anche carboidrati, sono molto importanti per la pianta e sono il risultato della fotosintesi, processo con il quale l’anidride carbonica viene trasformata in composti chimici necessari per il metabolismo del vegetale. La fotosintesi è attiva negli organi verdi della pianta ed è quindi nelle foglie che gli zuccheri vengono prodotti e da cui vengono successivamente trasferiti negli altri tessuti della pianta.

Gli zuccheri sintetizzati dalle foglie migrano attraverso il floema verso le uve sotto forma di disaccaride saccarosio (il comune zucchero da cucina, di barbabietola o di canna). Giunto nell’acino, il saccarosio è idrolizzato nei due zuccheri semplici costituenti, il glucosio e il fruttosio. Nel giovane acino il fruttosio alimenta il metabolismo del frutto ed il glucosio risulta essere, in questa fase, lo zucchero maggiormente rappresentato, nel succo d’uva. A maturazione piena, con un metabolismo della bacca notevolmente rallentato, il rapporto glucosio/fruttosio è prossimo a 1. Il fruttosio ha un potere dolcificante (1.73) più che doppio rispetto a quello del glucosio (0.74): questo favorisce la dolcezza caratteristica dell’uva matura. In questa fase il tenore di glucosio e fruttosio è compreso tra i 150 g/l e i 250 g/l. Nelle uve mature è presente inoltre, a livelli molto bassi (tra 2 e 5 g/l) ed in modo naturale, anche il saccarosio. Se le uve sono sottoposte ad un processo di surmaturazione si può assistere, sia per fenomeni metabolici, che per una progressiva disidratazione per evaporazione d’acqua, ad una ulteriore modificazione del rapporto glucosio/fruttosio. In questa fase il fruttosio comincia a prevalere e di conseguenza il potere dolcificante dei succhi dell’uva si incrementa. E’ per questo motivo che quando l’obiettivo enologico è la produzione di vini dolci naturali si preferisce vinificare uve sovramature, sia per la maggiore concentrazione di zuccherina delle stesse che per il maggior effetto dolcificante che verrà riconosciuti in questi vino ottenuti per fermentazione parziale.

Tutti questi zuccheri sono completamente fermentati dai lieviti, pertanto sulla base della concentrazione zuccherina del mosto, è facilmente calcolabile il tenore alcolico potenziale del vino che sarà ottenute dalle uve.

Infine, oltre a questi zuccheri principali, nel succo d’uva si rilevano delle piccole quantità di monosaccaridi infermentescibili da parte dei lieviti: i pentosi. Questi zuccheri anche se non contribuiscono alle caratteristiche principali del vino sono tecnologicamente importanti perché possono condizionare la stabilità microbica del vino durante la fase di conservazione e commercializzazione.


GLI ACIDI DELL'UVA E DEL MOSTO


Altra componente fondamentale dell’uva e dei mosti sono gli acidi organici.

L’ acido organico principale è il tartarico (Figura 1) che possiamo definire caratteristico dell’uva, in quanto in natura è poco diffuso, riscontrandosi soltanto nel tamarindo ed in pochi altri frutti. Per questo motivo risulta essere un acido molto stabile da un punto di vista microbiologico, poiché può essere attaccato da pochi microrganismi, ma è instabile dal punto di vista chimico-fisico, data la sua possibile precipitazione sia nelle soluzioni acquose che in quelle idroalcoliche.

La sintesi dell'acido tartarico viene accumulato nelle bacche fino all'invaiatura. Dopo tale fase l'acido tartarico viene degradato solo molto lentamente, di conseguenza la sua concentrazione per acino rimane relativamente stabile, in diverse condizioni ecologiche e colturali. In fase di vinificazione il tenore di acido tartarico del vino diminuisce per via della precipitazione tartarica, processo che comporta il legame dell'acido con il potassio e successiva precipitazione del composto formatosi. L’acido tartarico recuperato dai residui della vinificazione viene utilizzato nell’industria alimentare come antiossidante o per conferire un sapore aspro a bibite o alimenti.

Nonostante le precipitazioni l'acido tartarico rimane ugualmente presente in quantità considerevole, e pertanto è l'acido più caratteristico del vino che insieme ad alcuni polifenoli determina la cosiddetta "durezza" del vino

L’acido malico (Figura 2) ha caratteristiche inverse rispetto all’acido tartarico, ovvero è più stabile in campo chimico-fisico, poiché i suoi sali sono solubili nelle soluzioni acquose ed idroalcoliche, ma risulta invece instabile dal punto di vista microbiologico, dato che può essere facilmente attaccato dai lieviti e dai batteri, cioè dai microrganismi responsabili della trasformazione del mosto d’uva in vino. Da un punto di vista organolettico, l'acido malico si contraddistingue nel vino per il suo aspro sapore, per questa ragione sovente viene svolta nel vino la fermentazione malo-lattica, una disacidificazione naturale operata da alcuni batteri lattici, che trasformando l'acido malico in acido lattico apportano una maggiore morbidezza al vino.

A differenza dell’acido tartarico l’elevata concentrazione di acido malico presente nelle bacche all’invaiatura decresce con la maturazione in dipendenza specialmente della temperatura in cui matura il grappolo. Pertanto a maturazione è maggiormente presente nelle uve coltivate in zone fredde o non completamente mature.

L’acido citrico (Figura 3) è invece un acido minore e analogamente all’acido malico può essere interessato a fermentazioni batteriche che lo trasformano in altre molecole. Lo possiamo quindi indicare come caratteristico delle uve, ma talvolta non presente nei vini corrispondenti. acido citrico: è presente in quantità basse ed ha un sapore asprigno e citrino. Questo tipo di acidi sono molto importanti nella determinazione del piacevole e rinfrescante senso di salivazione dei vini giovani.

Considerando globalmente il profilo degli acidi organici dell’uva possiamo osservare che fino alla fine della fase verde le bacche presentano alti livelli di acidità e solo a partire dall’invaiatura il contenuto di acidi organici decresce in concomitanza all’aumento degli zuccheri (Figura 4). Il decremento dell’acidità si adatta ad un profilo sinusoidale (speculare rispetto a quello degli zuccheri) che parte da una situazione di massima concentrazione in fase di pre-invaiatura, al quale segue un tratto di brusco calo che rallenta fino a raggiungere una concentrazione minima in corrispondenza del massimo accumulo zuccherino. L’acido tartarico e l’acido malico, da soli contano più del 90% degli acidi organici totali negli acini. La quota restante è costituita da altri acidi, come il già ricordato il citrico ed altri minori.

L’acido malico e l’acido tartarico vengono sintetizzati sia dalle foglie verdi che dai frutti immaturi tanto che la fotosintesi nelle bacche è responsabile della produzione di circa la metà degli acidi accumulati. Il ruolo che l’acido malico riveste nella fisiologia della pianta è di estrema importanza non solo da un punto di vista biologico, ma anche da un punto di vista della vinificazione. L’acido malico è il soluto organico più abbondante nella polpa degli acini immaturi, ma subisce un declino nel corso della maturazione che è comparabile con il grado di incremento di glucosio e fruttosio. La concentrazione dell’acido tartarico decresce con l’ombreggiamento dei grappoli insieme a quella degli zuccheri, mentre la concentrazione dell’acido malico aumenta. Oltre all’ombreggiamento, anche la temperatura esercita una notevole influenza sull’acidità, in particolare sull’acido malico. Notoriamente nelle regioni più fredde vengono prodotti frutti con una più elevata concentrazione di malico, mentre le regioni con regimi termici superiori producono uve con basso tenore di acidità. Questa correlazione negativa tra i livelli di acido malico e la temperatura è dovuta all’effetto che la temperatura stessa esercita sulla sintesi ed il catabolismo dell’acido malico.


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